LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE 
                      Sezione Tributaria Civile 
 
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: 
        dott. Antonio Merone - Presidente 
        dott. Domenico Chindemi - Rel. Consigliere 
        dott. Maria Giovanna C. Sambito - Consigliere 
        dott. Lucio Napolitano - Consigliere 
        dott. Ernestino Luigi Bruschetta - Consigliere 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza interlocutoria  sul  ricorso
578-2010 proposto  da:  Garlsson  Real  Estate  Sa  in  liquidazione,
Ricucci Stefano, Magiste International SA in persona del  liquidatore
e legale rappresentante pro  tempore,  elettivamente  domiciliati  in
Roma via N. Ricciotti 11,  presso  lo  studio  dell'avvocato  Michele
Sinibaldi, che li rappresenta  e  difende  unitamente  agli  avvocati
Donato Bruno, Fauceglia Giuseppe con procura notarile  del  not.  dr.
Pietro Mazza in Roma rep. n. 117712 del 22/10/2014; 
    Ricorrenti contro Consob  Commissione  Nazionale  Societa'  Borsa
intimato; 
    Nonche'  da:  Consob  Commissione  Nazionale  Societa'  Borsa  in
persona  del  Presidente  e  legale   rappresentante   pro   tempore,
elettivamente domiciliato in Roma via G.  B.  Martini  3,  presso  lo
studio dell'avvocato Fabio Biagianti, che lo  rappresenta  e  difende
unitamente agli avvocati Antonella  Valente,  Maria  Letizia  Ermetes
giusta delega a margine; 
    Controricorrente incidentale contro Garlsson Real  Estate  Sa  in
liquidazione, Ricucci Stefano, Magiste International Sa intimati; 
    Avverso la sentenza n. 4297/2008 della Corte d'appello  di  Roma,
depositata il 2/01/2009; 
    Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza  del
6/11/2014 dal Consigliere dott. Domenico Chindemi; 
    Uditi per il ricorrente gli Avvocati Sinibaldi e Fauceglia che si
riportano agli scritti; 
    Uditi per il controricorrente gli Avvocati Ermetes e Valente  che
si riportano; 
    Udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Ennio Attilio Sepe  che  ha  concluso  per  il  rigetto  del  ricorso
principale in subordine accoglimento  del  1°  motivo,  assorbito  il
ricorso incidentale. 
 
                              F a t t o 
 
    Con sentenza n. 4297/08 in data 23.10.2008, la Corte  di  Appello
di Roma, in parziale accoglimento delle opposizioni riunite  proposte
da Stefano  Ricucci,  Magiste  International  s.a.  e  Garlsson  Real
Estate,  avverso  il  provvedimento  sanzionatorio  della  Consob  n.
16113/07, determinava in 5  milioni  di  euro  la  somma  irrogata  a
Ricucci Stefano e alle societa' indicate quali obbligate  in  solido,
ai sensi dell'art. 187-ter T.U.F. in relazione alla condotta illecita
di manipolazione del mercato, confermando,  nel  resto,  la  delibera
impugnata con riferimento  alle  sanzioni  amministrative  pecuniarie
irrogate alla Magiste International s.a. e Garlsson  Real  Estate  (€
103.291,00 per ciascuna societa'). 
    Le sanzioni erano state  irrogate  per  l'anomalo  andamento  dei
titoli RCS mediaGroup s.p.a., riconducibile a  condotte  manipolative
poste in essere da Stefano Ricucci nell'ambito di una strategia  tesa
a richiamare l'attenzione del pubblico sui titoli in questione e, per
tale  via,  a  sostenerne  le  quotazioni  per  il  perseguimento  di
finalita'  personali,  sia  attraverso  operazioni  di  mercato   sia
attraverso informazioni diffuse al pubblico, alimentando  aspettative
di scalata di RCS e influendo sulla formazione dei prezzi del titolo,
compiendo direttamente o per interposta persona  una  serie  di  atti
volti  a  celare  alla  Consob  fatti  e  circostanze  relativi  alla
attivita' posta in essere sul titolo RCS. 
    Stefano Ricucci,  Magiste  International  s.a.  e  Garlsson  Real
Estate impugnano  la  sentenza  della  Corte  d'appello  deducendo  i
seguenti motivi: 
        1. violazione o falsa applicazione  dell'art.  9  legge  689/
1981 in relazione all'art.  187-ter  e  187-quinquesdecies  T.U.F.  e
omessa motivazione, in  relazione  all'art.  360  n.  3  e  5  c.p.c.
rilevando l'erronea applicazione del principio di specialita' di  cui
all'art. 9 legge 689/1981, trattandosi di valutate i  medesimi  fatti
apprezzati una volta come manipolazione  del  mercato  e  altra  come
ostacolo all'attivita' di vigilanza; 
        2. violazione o falsa applicazione dell'art. 187-septies,  n.
2 T.U.F., della delibera 15.086 del 21/6/2005  della  Consob  recante
disposizioni organizzative e procedurali relative all'applicazione di
sanzioni amministrative, degli artt. 9 e 24 della  legge  62/2005,  e
vizio di motivazione, in relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.,  non
avendo rilevato la Corte territoriale  la  violazione  del  principio
della separazione della fase istruttoria e della fase decisoria,  non
essendo stato, inoltre, rispettato il principio  del  contraddittorio
in  quanto  le  parti  non  hanno  avuto  conoscenza,   prima   della
conclusione della fase istruttoria, delle acquisizioni del  documento
rilasciato da Deutch Bank London, ne'  hanno  avuto  possibilita'  di
esporre le proprie  difese  con  riferimento  alla  relazione  svolta
dall'ufficio   sanzioni   amministrative   contenente   la   proposta
quantitativa della irroganda sanzione; 
        3. violazione o falsa applicazione dell'alt. 187-quinquies  e
195 T.U.F., dell' artt. 6 legge 689/1981 e vizio di  motivazione,  in
relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., rilevando  come  la  societa'
Garlsson Real Estate, amministrata da  un  amministratore,  anche  di
fatto, non e' responsabile in solido con l'autore delle violazioni di
cui all'art. 187-ter T.U.F. del pagamento delle sanzioni irrogate per
tali violazioni; 
        4. violazione  o  falsa  applicazione  degli  artt.  187-ter,
ultimo comma T.U.F., 3 legge  689/1981,  della  delibera  15.233  del
29/11/2005 della Consob, degli artt. 9 e 24  della  legge  62/2005  e
vizio di motivazione, in relazione all'art.  360  n.  3  e  5  c.p.c.
rilevando come l'art. 187-ter T.U.F. detta solo formule  astratte  di
illecito e non consente  una  sufficiente  conoscenza  della  portata
precettiva punitiva della norma, in tema di manipolazione di  mercato
mentre solo il successivo regolamento Consob citato, ma successivo ai
fatti ascritti al  Ricucci,  ha  carattere  di  individuazione  delle
fattispecie comportamentali di manipolazioni di mercato; 
        5. violazione o falsa applicazione dell'art.  187-ter,  comma
3, lett.  c)  in  relazione  all'art.  360  n.  3  c.p.c.,  rilevando
l'erronea  applicazione  della  normativa  citata  che   indica   una
categoria di manipolazione operativa residuale  nella  quale  possono
trovare  applicazione  anche  il  collegamento  delle  attivita'   di
compravendita di titoli che adottano in concreto artifizi, inganni  o
espedienti che non siano  di  natura  informativa,  avendo  la  Corte
territoriale trascurato che le variazioni intervenute sul titolo  RCS
fossero ascrivibili alle ingenti acquisizioni operate sul  titolo  da
parte del Ricucci; 
        6. violazione o falsa applicazione dell'art.  187-ter,  comma
3, lett. c), dell'art. 1 legge 689/1981,  vizio  di  motivazione,  in
relazione all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., rilevando come le  operazioni
di  acquisto  e  vendita  di  titoli  nella   medesima   seduta   non
costituiscono di per se' una manipolazione di mercato; 
        7. violazione o falsa applicazione dell'art.  187-ter,  comma
3, lett. c), T.U.F. dell'art. 1 legge 689/1981, vizio di motivazione,
in relazione all'art. 360 n. 3 e  5  c.p.c.,  osservando  come  nella
operativita' borsistica l'utilizzo di piu'  operatori  puo'  assumere
rilevanza indiziaria o prova di manipolazione  del  mercato  solo  se
viene accertato che tale espediente  ha  prodotto  o  avrebbe  potuto
produrre un'alterazione del mercato che  altrimenti  non  si  sarebbe
verificata  se  gli  ordini  fossero  stati  impartiti  da  un   solo
intermediario; inoltre rileva  che  la  concentrazione  degli  ordini
nelle fasi di chiusura delle  sedute  borsistiche  puo'  assurgere  a
manipolazione del mercato ove vengano accertati gli inganni nei quali
sono caduti gli altri investitori e che le variazioni dei prezzi  non
siano dovute ad altre circostanze estranee alla  modalita'  operative
sanzionate dal T.U.F.; 
        8. violazione o falsa applicazione e difetto  di  motivazione
dell'art. 187-ter, commi  1  e  3,  lett.  c)  T.U.F.,  in  relazione
all'art. 360 n. 3 e 5 c.p.c., osservando  come  la  normativa  citata
sanzione la diffusione con qualsiasi  mezzo,  compreso  Internet,  di
notizie false o fuorvianti in merito a strumenti finanziari  restando
estranee  alla  previsione  del  legislatore   i   comportamenti   di
diffusione di notizie false  o  fuorvianti  inerenti  alla  qualita',
capacita' del soggetto operante sul mercato e la capacita' fuorviante
delle  notizie  riguardanti   gli   obiettivi,   le   strategie,   le
potenzialita' finanziarie ed economiche dello stesso operatore; 
        9. vizio di motivazione in relazione  alle  contestazioni  di
manipolazione informativa di cui agli articoli 120, 187-ter, commi  1
e 3, lett. c) T.U.F., in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. rilevando
come  non  costituisce  manipolazione   di   mercato   l'insieme   di
comportamenti che  singolarmente  o  complessivamente  esaminati  non
abbiano l'evidente determinazione di manipolare il mercato o comunque
non abbiano  in  alcun  modo  alterato  l'andamento  dello  strumento
finanziario e del mercato in presenza di massicci acquisti di  titoli
che hanno concorso al rialzo della quotazione del titolo  oggetto  di
scalata; 
        10. vizio di motivazione in relazione alle  contestazioni  di
manipolazione informativa di cui agli articoli 120, 187-ter, commi  1
e 3, lett. c) T.U.F., in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. in quanto
la notizia  falsa  e  fuorviante  deve  intendersi,  ai  sensi  della
normativa citata, come notizia oggettivamente falsa  e  fuorviante  e
non le notizie che derivano dalla legittima ricostruzione  dei  fatti
operata da colui che diffonde la notizia; 
        11. vizio di motivazione in relazione alle  contestazioni  di
manipolazione informativa di cui agli articoli 120, 187-ter, commi  1
e 3, lett. c) T.U.F.,  in  relazione  all'  art.  360  n.  5  c.p.c.,
rilevando come non possano ritenersi false  e  fuorvianti,  ai  sensi
della normativa citata,  quelle  notizie  rivelatesi  vere  da  fatti
successivamente avvenuti, mentre la notizia puo' definirsi fuorviante
quando rappresenti un quadro complessivo sostanzialmente  distorto  e
che riporta al mercato una notizia che nella sua finalita'  effettiva
sia fuorviante rispetto alle effettive finalita' del soggetto che  le
diffonde; 
        12. vizio di motivazione in relazione all'applicazione  della
sanzione  per  la  contestata  manipolazione   informativa   di   cui
all'187-ter, commi  1  e  3,  lett.  c)  T.U.F.,  e  all'applicazione
dell'aggravante di cui all'ultimo comma art. cit, in  relazione  all'
art. 360 n. 5 c.p.c., rilevando come la sanzione prevista deve essere
applicata  rapportata  alle  conseguenze   affettive   dell'attivita'
manipolativa, ovvero alla gravita' del pericolo  corso  dal  mercato,
rapportando tale pericolo a dati  oggettivi  di  riscontro  e  non  a
semplici dichiarazioni di gravita' o di intensita' ed e' onere  della
Consob individuare gli effetti  distorsivi  subiti  dal  mercato,  il
pericolo  nel  quale  e'   incorso   e   le   effettive   conseguenze
dell'attivita' manipolativa. 
    La Consob si e' costituita  con  controricorso  formulando  anche
ricorso  incidentale  condizionato  chiedendo  la  cassazione   della
sentenza nella parte in cui ha esaminato e deciso la questione  della
violazione del principio  del  contraddittorio,  eccedente  il  thema
decidendum del giudizio. 
    Nella more della udienza  pubblica  di  discussione  del  ricorso
venivano prodotti nuovi documenti. 
    Il ricorso e' stato discusso alla pubblica udienza del 6.11.2014,
in cui il PG ha concluso come in epigrafe. 
 
                       Motivi della decisione 
 
1. Ammissibilita' della produzione documentale in data 21.10.2014. 
    Preliminarmente  deve  essere  esaminata  l'ammissibilita'  della
produzione documentale in data 21.10.2014 con cui le parti ricorrenti
hanno prodotto i seguenti  documenti:  1)  sentenza  della  Corte  di
Cassazione, settima sezione penale n. 35437/09 con la quale e'  stato
dichiarato inammissibile  il  ricorso  proposto  da  Ricucci  Stefano
avverso la sentenza 10.12.2008  del  Tribunale  penale  di  Roma;  2)
sentenza della quinta sezione penale del  tribunale  n.  24796/08  di
patteggiamento della  pena  da  parte  di  Ricucci  Stefano,  Magiste
International sa, Garlsson Real Estate sae ed altri. 
    Nella  fattispecie   risulta   notificato   alle   altre   parti,
successivamente al deposito, l'elenco dei citati  documenti  prodotti
(art. 372, secondo comma, cod. proc. civ.). 
    Ai fini della ammissibilita' della  produzione  documentale  sono
rilevanti, per le motivazioni che saranno in seguito evidenziate,  le
ragioni di tale produzione, oltre che  la  data  della  sentenza  del
Tribunale di Roma e l'epoca di definitivita'  delle  sentenze  penali
prodotte. 
    La sentenza del Tribunale di Roma 10.12.2008 n. 24796 e' divenuta
definitiva per le societa' ricorrenti  in  data  2.1.2009  e  per  il
Ricucci in data 11.9.2009,  epoca  di  pubblicazione  della  sentenza
della Corte di cassazione penale n. 35437/09 e, quindi, anteriormente
alla notifica alla Consob del ricorso per cassazione avvenuta in data
28.12.2009, introduttivo del presente giudizio. 
    Il  deposito  di  documenti  nel  giudizio   di   cassazione   e'
regolamentato dagli artt. 369 e 372 c.p.c. 
    Dal combinato disposto delle due norme risulta la regola generale
che vuole che i documenti, purche' prodotti nei precedenti gradi  del
processo,  devono  essere  depositati,  unitamente  al  ricorso   per
cassazione, nel termine di  giorni  venti  dall'ultima  notificazione
alle parti contro le quali il ricorso e' proposto. E risulta altresi'
l'eccezione   per   cui   il   deposito   dei   documenti    relativi
all'ammissibilita' del ricorso  puo'  avvenire  indipendentemente  da
quello del ricorso (e del controricorso), ma deve essere  notificato,
mediante elenco, alle altre parti. Quindi sono solo i  documenti  che
attengono  all'ammissibilita'  del  ricorso  quelli  dei   quali   e'
possibile la produzione anche dopo la scadenza  del  termine  di  cui
all'art. 369 c.p.c. e tali non sono  certo  quelli  depositati  dalla
difesa dei  ricorrenti  i  quali  attengono  invece  alla  (allegata)
fondatezza  della  domanda,  trattandosi  di  sentenze  prodotte  per
dimostrare l'esistenza di un  giudicato  esterno  rilevante  ai  fini
della decisione, assumendo in ragione della loro oggettiva intrinseca
natura, la qualifica di documenti. 
    La giurisprudenza, invero,  ha  anche  ammesso  il  deposito  dei
documenti  prescritti  a  pena  di  improcedibilita'  che   non   sia
contestuale al deposito del ricorso,  ma  ha  richiesto  comunque  il
rispetto del termine dell'art. 369 c.p.c. (che nella specie  comunque
non sarebbe stato rispettato (Cass. Sez. L,  Sentenza  n.  10967  del
9/05/2013). 
    Nel giudizio innanzi alla Corte  di  cassazione,  secondo  quanto
disposto dall'art. 372 cod. proc. civ., non e',  quindi,  ammesso  il
deposito di atti e documenti non prodotti nei  precedenti  gradi  del
processo, salvo che non riguardino l'ammissibilita' del ricorso e del
controricorso ovvero eventuali nullita'  inficianti  direttamente  la
sentenza impugnata, nel quale  caso  essi  vanno  prodotti  entro  il
termine stabilito dall'art. 369 cod. proc. civ., con  la  conseguenza
che ne e'  inammissibile,  in  termini  generali,  la  produzione  in
allegato alla memoria difensiva di cui all'art. 378 cod.  proc.  civ.
(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 7515 del 31/03/2011). 
    Nel  caso  di  specie  la  produzione  documentale  concerne  due
sentenze successive a quella della Corte di appello di Roma,  oggetto
di  impugnazione,  pubblicata  in  data  23.10.2008  e  la   relativa
produzione, in quanto  documenti  nuovi,  sarebbe  stata  ammissibile
contestualmente al ricorso per Cassazione ma non successivamente. 
    Questa Corte ha infatti  ammesso  la  produzione  della  sentenza
anche nel giudizio  di  cassazione,  in  tema  di  rilevabilita'  del
giudicato esterno in sede di legittimita', quando esso si  forma  per
effetto di una pronuncia della Corte di  cassazione  successiva  alla
proposizione del  ricorso  relativo  al  procedimento  nel  quale  il
giudicato o, comunque, la definitivita' s'intende far  valere  (Cass.
Sez. 3, Sentenza n. 1883 del 27/01/2011) ma non antecedente. 
    Occorre, tuttavia, rilevare che la possibilita'  di  eccepire  il
giudicato  (dovendosi  equiparare,  in  ambito  interunione,  per  le
motivazioni  che  saranno   evidenziate,   anche   la   sentenza   di
patteggiamento definitiva) fosse nota o conoscibile dalla  parte  nel
momento di  formazione  dello  stesso,  mentre  se  il  giudicato  o,
comunque,  la  definitivita'  della  sentenza  penale  puo'  assumere
rilevanza  in  forza  di  un  nuovo  orientamento   giurisprudenziale
nazionale o interunione, formatosi  successivamente  al  ricorso  per
cassazione,  ne  va  ammessa  la  produzione  fino   all'udienza   di
discussione, essendo tale produzione esclusivamente  funzionale  alla
dimostrazione del giudicato  che,  al  momento  di  proposizione  del
ricorso, non aveva, invece, efficacia ai fini della decisione. 
    La produzione di  nuovi  documenti  deve  ritenersi  anche  quale
implicita  richiesta  di  rimessione  in  termini  che  puo'  trovare
accoglimento in forza della pronuncia  della  citata  pronuncia  CEDU
Sez. II, del 4 marzo 2014 (causa Grande Stevens ed altri c.  Italia),
successiva al ricorso, che ha  affermato,  per  la  prima  volta,  il
principio del "ne  bis  in  idem"  tra  provvedimenti  amministrativi
sanzionatori di natura penale della Consob e condanna  penale  per  i
medesimi fatti. 
    Nel caso di specie puo'  trovare  applicazione,  sia  pure  sotto
diversa prospettiva da  quella  tradizionale,  che  si  riferisce  al
mutamento della giurisprudenza su di  una  regola  del  processo,  il
principio di prospective  overruling  che  questa  Corte  ritiene  di
allargare anche alla prospettazione della applicazione  nel  presente
giudizio  del  principio  del  "ne  bis   in   idem"   tra   sanzione
amministrativa e sanzione penale, consentendo anche in Cassazione  la
produzione tardiva di documenti ove la necessita'  o  utilita'  della
produzione documentale sia sorta  successivamente  alla  proposizione
del ricorso in forza di  un  nuovo  orientamento  interunione  (nella
specie della CEDU) sempre che tali documenti, come nella fattispecie,
siano finalizzati all'esercizio di un diritto di azione o  di  difesa
della parte, conseguente alla pronuncia  della  CEDU,  a  prescindere
dall'esito dell'azione e dal riconoscimento del diritto vantato. 
    Infatti in forza della sentenza della Corte Europea  dei  Diritti
dell'Uomo, Sez. II, del 4 marzo 2014 (causa Grande Stevens  ed  altri
c. Italia) assume, ai  fini  della  decisione,  per  la  prima  volta
rilevanza il giudicato penale sulla medesima vicenda, avendo la  CEDU
ritenuta sussistente la violazione, nei confronti dei ricorrenti, del
principio del ne bis in idem consacrato  nell'art.  4,  par.  1,  del
Protocollo n. 7 della CEDU, il quale vieta la doppia applicazione  di
sanzioni penali nei confronti dei medesimi soggetti e per i  medesimi
fatti oggetto di sentenza passata  in  giudicato,  rilevando  che  le
sanzioni irrogate dalla Consob per la  fattispecie  di  manipolazione
del  mercato  di  cui  all'art.  187-ter  TUF,  benche'   formalmente
qualificate come amministrative  dall'ordinamento  italiano,  debbono
essere ricondotte alla "materia penale" agli effetti dell'art. 4  del
Protocollo n. 7 della CEDU, e  cio'  in  ragione  sia  della  "natura
dell'illecito" (ossia della  rilevanza  dei  beni  protetti  e  della
funzione anche deterrente della fattispecie in questione)  sia  della
natura e  del  grado  di  severita'  delle  sanzioni  (pecuniarie  ed
interdittive) previste  dalla  legge  e  concretamente  comminate  ai
ricorrenti. 
    Inoltre l'art. 2 del  Protocollo  n.  7  vieta  anche  il  doppio
giudizio  per  gli   stessi   fatti   da   cui   potrebbe   desumersi
l'illegittimita' di una sanzione amministrativa di  natura  penale  a
seguito di una sanzione penale definitiva. 
    Nel  caso  di  specie  ricorrono   cumulativamente   i   seguenti
presupposti: 
        a) si verte in  materia  di  mutamento  della  giurisprudenza
comunitaria su un presupposto (giudicato penale) che assume rilevanza
successivamente alla proposizione del ricorso per Cassazione e che la
parte non puo' piu' documentare senza violare una regola del processo
(369 c.p.c.); 
        b) tale mutamento deve ritenersi  imprevedibile  non  essendo
mai stata affermata in  precedenza  dalla  CEDU  la  violazione,  del
principio del ne bis in idem consacrato  nell'art.  4,  par.  1,  del
Protocollo n. 7 della CEDU, il quale vieta la doppia applicazione  di
sanzioni penali, anche con riferimento alle sanzioni  irrogate  dalla
Consob, ricondotte alla "materia penale" agli effetti dell'art. 4 del
Protocollo n. 7 della CEDU; 
        c) effetto  preclusivo,  ove  non  trovasse  applicazione  il
principio dell'overruling, del diritto di difesa della parte che, nel
caso di specie,  sarebbe  impedito  dalla  tardiva  produzione  delle
sentenze attestanti il formarsi della loro definitivita' al  fine  di
invocare l'applicazione, nel nostro ordinamento,  del  principio  del
"ne bis in idem" in  forza  della  citata  sentenza  della  Corte  di
giustizia. 
    Dalla produzione documentale ammessa si evince la  definitivita',
nei confronti dei ricorrenti, della  sentenza  di  patteggiamento  in
relazione, tra gli altri, ai reati di cui all'art. 185 d.lgs. 58/1998
come modificato dall'art. 9 l. n.  62/2005,  e  nei  confronti  delle
altre societa' ricorrenti in relazione ai reati di cui agli artt. 5 e
25, comma 2, d.lgs.  231/2001,  in  relazione  alla  commissione  del
delitto di cui agli artt. 110, 319, 321  c.p.  (Magiste  Real  Estate
s.a.) e all'illecito amministrativo previsto dagli  artt.  5,  25-ter
lettera r), 25-sexies d.lgs. 231/2001, in relazione alla  commissione
del delitto di cui agli artt. 81 c.p., 185 d.lgs. n.  58/98,  delitto
commesso a vantaggio  delle  societa'  Magiste  Real  Estate  s.a.  e
Garlsson Real Estate s.a., collegate tra loro e riferibili al  gruppo
Ricucci da persona che rivestiva al momento  del  fatto  funzioni  di
rappresentanza delle societa', essendo il Ricucci  amministratore  di
diritto della Magiste Real Estate e  amministratore  di  fatto  della
Garlsson Real Estate. 
2. Rilevanza nei presente giudizio della sentenza della Corte Europea
dei Diritti dell'Uomo, Sez.  II,  del  4  marzo  2014  (causa  Grande
Stevens ed altri c.  Italia)  e  la  sua  efficacia  nell'ordinamento
nazionale. 
    2.1 Ancorche' nella indicata pronuncia si faccia riferimento,  ai
fini dell'applicazione del principio del ne bis in idem tra  condanna
definitiva penale  e  amministrativa  (relativa  ad  una  fattispecie
analoga, ma non simile, in quanto, nella fattispecie oggetto di esame
da parte della  CEDU  trattavasi  di  sentenza  penale  successiva  a
giudicato sulla sanzione amministrativa e  non  viceversa,  come  nel
presente giudizio in cui si e'  esaurito  prima  il  giudizio  penale
rispetto a quello amministrativo ancora sub iudice), si  ritiene  che
il  principio  espresso  dalla  CEDU   sia   bidirezionale   trovando
applicazione sia nel caso di  sanzione  amministrativa  precedente  a
quella penale sia nel caso inverso. 
    In forza del principio del favor rei, va assimilata  la  sentenza
di patteggiamento a quella  penale  di  condanna,  rivestendone  tale
sostanziale natura, conservata pur dopo la espressa previsione  della
sua assoggettabilita' a revisione, contenuta nell'art. 629 cod. proc.
pen., nel testo modificato dall'art. 3, comma primo, della  legge  12
giugno 2003 n. 134, pur non implicando un accertamento  della  penale
responsabilita' dell'imputato, con relativo obbligo  di  motivazione,
ma richiedendo solo la verifica dell'insussistenza delle cause di non
punibilita' previste dall'art. 129 cod. proc.  pen.  (Cass.  Sez.  1,
Sentenza n. 28192 del 4/03/2004 Ud. (dep. 23/06/2004). 
    In particolare, ai fini della valutazione dei principi ricavabili
dalla pronuncia della CEDU cit., si ritiene che siano equiparabili la
sentenza penale di condanna e quella di patteggiamento di  cui  siano
spirati i termini per l'impugnazione peraltro  confermata,  nei  soli
confronti, del Ricucci, dalla Corte di cassazione e che,  quindi,  al
giudicato penale sia equiparabile la sentenza di patteggiamento ormai
definitiva o perche' non  impugnata  (nei  confronti  delle  societa'
ricorrenti) o a seguito di impugnazione (nei confronti del Ricucci). 
    Infatti il cd. patteggiamento, regolato  dall'ad.  444  c.p.p.  e
segg., e' un  istituto  processuale  in  base  al  quale  il  p.m.  e
l'imputato si accordano  sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto
contestato,  sulla  concorrenza  e  comparazione  delle  circostanze,
sull'entita' della pena con rinunzia a far valere eccezioni e  difese
di natura sostanziale (nei limiti dell'art. 129 c.p.p.) e processuale
(nei limiti dell'art. 179 c.p.p.) salvo che si  tratti  di  eccezioni
attinenti alla richiesta di patteggiamento e al consenso prestato. 
    La natura di sentenza di condanna del patteggiamento  e  comunque
di sanzione penale, e' ulteriormente  confermata  dalla  possibilita'
per il giudice di pronunciare sentenza di assoluzione  ex  art.  129,
comma secondo, cod. proc. pen. sia pure  nei  casi  in  cui  emergano
chiaramente le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto,
la sua rilevanza penale ovvero la non  commissione  del  medesimo  da
parte dell'imputato (cfr Cass. pen. Sez.  2,  Sentenza  n.  9174  del
19/02/2008 Ud. - dep. 29/02/2008). 
    Ne' inficia tale valutazione la possibilita' di  revisione  della
sentenza di patteggiamento, richiesta  per  la  sopravvenienza  o  la
scoperta di nuove prove,  che  comporta  una  valutazione  di  queste
ultime  alla  luce  della  regola  di  giudizio  posta  per  il  rito
alternativo, sicche' le stesse devono consistere in elementi tali  da
dimostrare  che  l'interessato  deve  essere  prosciolto  secondo  il
parametro  di  giudizio  dell'art.  129  cod.  proc.  pen.,  si  come
applicabile nel patteggiamento (cfr Cass. Sez. 6, Sentenza  n.  31374
del 24/05/2011 Cc. (dep. 05/08/2011). 
    In ogni caso trattasi,  comunque,  di  pronuncia  che  ha  chiara
natura di sanzione penale. 
    2.2 La  Convenzione  europea  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,   e'   una   convenzione
internazionale ratificata  e  resa  esecutiva  in  Italia  con  legge
ordinaria 4 agosto 1955 n. 848. 
    Formalmente l'ordinamento della CEDU e' differente e distinto  da
quello dell'Unione europea. 
    Diversi sono anche gli strumenti e delle procedure  previsti  per
garantire la conformita' del  diritto  interno  rispetto  al  diritto
interunione e a quello di natura convenzionale  della  CEDU,  essendo
diversi anche  i  vincoli  derivanti  dall'appartenenza  dello  Stato
italiano all'ordinamento CEDU rispetto a quello dell'Unione europea. 
    Questa Corte non ignora l'orientamento dottrinale che ritiene che
anche le sentenze della CEDU,  al  pari  di  quelle  della  Corte  di
Giustizia, abbiano efficacia diretta generale nel nostro ordinamento. 
    Deve, al riguardo, distinguersi tra efficacia della pronuncia tra
le stesse parti e efficacia generale erga omnes. 
    La sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo, una  volta
divenuta definitiva tra le parti ai sensi dell'art. 44 della CEDU, ha
effetti precettivi immediati assimilabili al giudicato e,  in  quanto
tale, deve essere tenuta in considerazione  dall'organo  dello  Stato
che, in ragione della sua competenza, e' al momento  il  destinatario
naturale dell'obbligo giuridico, derivante dall'art. 1 della CEDU, di
conformare e di non contraddire la sua decisione al deliberato  della
Corte di Strasburgo per la parte in cui abbia acquistato autorita' di
cosa giudicata in riferimento alla stessa "quaestio disputanda" della
quale continua ad occuparsi detto organo (Cass. Sez. 3,  Sentenza  n.
19985 del 30/09/2011) 
    Quanto all'efficacia diretta orizzontale, estesa erga  omnes,  il
giudice nazionale deve ricorrere, ove possibile e ove la normativa lo
consenta, alla interpretazione comunitariamente orientata  che  delle
norme  pattizie  viene  data  dalla  Corte  di  Strasburgo,  con   la
conseguenza che, nella realizzazione dell'equo processo ed allo scopo
di assicurare la parita' effettiva delle armi in senso sostanziale  e
processuale (art. 111, 1 comma, Cost.), il giudice interno, affinche'
la sua statuizione risulti aderente  alle  norme  della  Convenzione,
deve tenere conto anche dell'elaborazione del diritto  vivente  quale
proveniente proprio dalla Corte di Strasburgo, che della  Convenzione
e' il piu' autorevole interprete. 
    In forza delle sentenze della Corte costituzionale n.  348  e  n.
349  del  2007  emerge  che  la  Convenzione  costituisce  una  fonte
interposta tra il piano costituzionale e quello delle  leggi  comuni,
perche' si profilerebbe l'eventuale esigenza di un bilanciamento  tra
i diritti della Convenzione e gli stessi  diritti  costituzionalmente
protetti. 
    Va, quindi, riconosciuta, in termini generali, solo una efficacia
esecutiva "indiretta" delle sentenze CEDU perche' esse obbligano  gli
Stati ad adeguarvisi, pur lasciandoli liberi di scegliere  le  misure
piu' idonee al riguardo. 
    Tuttavia sussiste l'obbligo, a carico  degli  Stati  che  abbiano
commesso una violazione accertata dalla Corte, ai sensi dell'art. 46,
paragrafo 1, CEDU di adottare misure specifiche volte al  superamento
della stessa. 
    Quindi,  le  norme  della  Convenzione  europea  non  hanno   una
efficacia esecutiva diretta nel nostro ordinamento e vanno rispettate
dal legislatore nazionale ai sensi dell'art. 117, primo comma,  della
Costituzione, mediante un'interpretazione comunitariamente orientata,
ove possibile, a differenza del regime previsto dagli articoli 244  e
256 TUE per le sentenze della Corte di giustizia. 
    Il giudice  nazionale  deve,  infatti,  interpretare  il  proprio
ordinamento in modo conforme alla CEDU,  per  come  essa  vive  nella
giurisprudenza  della  Corte  europea.  La  vincolativita'  di   tale
giurisprudenza (anche al di la' del caso deciso) non  puo'  condurre,
pero', disapplicare il diritto nazionale, quando esso ha un contenuto
che non consenta in alcun modo una interpretazione conforme  a  detta
giurisprudenza. 
    In tal caso si impone al giudice di sollevare  una  questione  di
costituzionalita'. 
    Il problema interpretativo derivante dalla  giurisprudenza  della
Corte europea si sostanzia, in estrema sintesi nella alternativa  tra
interpretazione conforme  a  detta  giurisprudenza  ed  incidente  di
costituzionalita'. 
    La Consulta (sentenze n. 348 e 349 del 2007) ha  statuito,  ed  a
tale orientamento il Collegio ritiene di attenersi, che nel  caso  in
cui il giudice  nazionale  ravvisi  una  incompatibilita'  tra  norma
convenzionale e norma  costituzionale,  gli  atti  vanno  rimessi  al
giudice delle leggi. 
    La sentenza della Corte Costituzionale n. 348  del  2007  ha,  al
riguardo precisato che "la  Convenzione  europea  ....  non  crea  un
ordinamento giuridico  sopranazionale  e  non  produce  quindi  norme
direttamente   applicabili   negli   Stati   contraenti.   Essa    e'
configurabile come un trattato internazionale  multilaterale  ...  da
cui  derivano  "obblighi"  per   gli   Stati   contraenti,   ma   non
l'incorporazione dell'ordinamento giuridico italiano  in  un  sistema
piu' vasto, dai  cui  organi  deliberativi  possano  promanare  norme
vincolanti ... per tutte le autorita' interne degli Stati membri". 
    Ne consegue che il giudice non ha il potere  di  disapplicare  la
norma legislativa ordinaria ritenuta in contrasto con una norma CEDU,
poiche' "l'asserita incompatibilita' tra le due si presenta come  una
questione di legittimita' costituzionale,  per  eventuale  violazione
dell'art.  117,  primo  comma,  della  Costituzione,   di   esclusiva
competenza del giudice delle leggi". 
    Tale valutazione non e'  inficiata  dall'entrata  in  vigore  del
Trattato di Lisbona (1° dicembre 2009), che ha modificato il Trattato
sull'Unione  europea  e  il  Trattato  che  istituisce  la  Comunita'
europea, avendo la Consulta rilevato che il Trattato di  Lisbona  non
ha «comportato un mutamento  della  collocazione  delle  disposizioni
della CEDU nel sistema delle fonti, tale da rendere  ormai  inattuale
la ricordata concezione delle "norme interposte"», con la conseguenza
che si deve «escludere che, in una fattispecie quale  quella  oggetto
del giudizio principale, il giudice possa ritenersi abilitato  a  non
applicare, omisso medio, le norme interne ritenute incompatibili  con
l'art. 6» della CEDU. (Corte Cost. 1.3.2011 n. 80). 
    Le norme CEDU, cosi' come interpretate dalla Corte di Strasburgo,
si collocano, come gia' evidenziato, ad un livello sub-costituzionale
e sono soggette al controllo di legittimita' costituzionale da  parte
della  Consulta,  chiamata  a  verificare  -   previo   giudizio   di
ammissibilita' in punto di rilevanza  e  non  manifesta  infondatezza
della questione  da  parte  del  giudice  a  quo  -  che  esse  siano
compatibili non soltanto con i  diritti  fondamentali  ma  anche  con
tutte le disposizioni della Costituzione italiana. 
    La Corte costituzionale ha poi escluso  che  "le  pronunce  della
Corte di Strasburgo siano incondizionatamente vincolanti ai fini  del
controllo di costituzionalita' delle leggi nazionali. Tale  controllo
deve sempre ispirarsi al ragionevole  bilanciamento  tra  il  vincolo
derivante dagli obblighi internazionali, quale imposto dall'art. 117,
primo  comma,  della  Costituzione,  e  la  tutela  degli   interessi
costituzionalmente  protetti  contenuta  in  altri   articoli   della
Costituzione". 
    La Consulta ha, altresi', chiarito, quanto ai rapporti tra le due
Corti che "hanno in  definitiva  ruoli  diversi,  sia  pure  tesi  al
medesimo  obiettivo  di  tutelare  al  meglio  possibile  i   diritti
fondamentali dell'uomo .... l'interpretazione  della  Convenzione  di
Roma e dei Protocolli spetta alla Corte di Strasburgo  ...  a  questa
Corte  ...  spetta,  invece,  accertare  il  contrasto  e,  in   caso
affermativo, verificare se le stesse norme CEDU, nell'interpretazione
datane dalla Corte di Strasburgo, garantiscano una tutela dei diritti
fondamentali  almeno   equivalente   al   livello   garantito   dalla
Costituzione italiana". (Corte Cost. sentenza n. 349 del 2007). 
    Ammettere un potere (o addirittura un obbligo di non applicare la
legge, (in contrasto col principio Costituzionale che il  giudice  e'
soggetto unicamente alla  legge  (art.  101  Cost.),  significherebbe
aprire un pericoloso varco al  principio  di  divisione  dei  poteri,
avallando una funzione di revisione legislativa da parte  del  potere
giudiziario, che appare estraneo al  nostro  sistema  costituzionale,
determinando  il  giudice  eventuali  limiti  di  applicazione  della
normativa  nazionale  per  contrasto  con  pronunce  della  Corte  di
Giustizia, esorbitando dai suoi poteri. 
    L'abrogazione della legge e' vincolata alle  ipotesi  contemplate
dall'art. 15 disp. prel. c.c. e  136  Cost.,  che  non  tollerano  la
disapplicazione da parte del giudice, pur dovendo essere interpretata
alla luce dei principi sovranazionali, con le puntualizzazioni  sovra
evidenziate. 
3. Profili di  incostituzionalita'  dell'art.  187-ter  punto  1  del
decreto legislativo n. 58 del 1998 alla  luce  della  sentenza  della
Corte EDU del 4 marzo 2014 (Causa Grande Stevens ed altri c. Italia) 
    La pronuncia della CEDU cit. afferma, come gia'  evidenziato,  il
principio del ne bis in idem alla  luce  dell'art.  4,  par.  1,  del
Protocollo n. 7 della CEDU, il quale vieta la duplicazione di giudizi
penali e amministrativi e, conseguentemente, la  doppia  applicazione
di sanzioni penali nei  confronti  dei  medesimi  soggetti  e  per  i
medesimi fatti oggetto di sentenza passata in giudicato. 
    In particolare, per quanto di interesse nel presente giudizio, la
CEDU ha rilevato che: 
        a) al fine di stabilire se i fatti su cui si  e'  formato  il
giudicato sono da considerarsi i medesimi per i quali si  procede  in
altro giudizio, occorre aver riguardo non al fatto  inteso  in  senso
giuridico, ossia alla  fattispecie  astratta  descritta  dagli  artt.
187-ter e 185 TUF, ma al fatto in senso storico-naturalistico,  ossia
alla fattispecie concreta oggetto dei due procedimenti, a prescindere
dagli elementi costitutivi rispettivamente  previsti  dai  menzionati
articoli; 
        b)  il  presupposto  al  quale   e'   collegata   l'efficacia
preclusiva di  un  nuovo  giudizio  sullo  stesso  fatto  storico  e'
costituito dal passaggio in giudicato del provvedimento che definisce
uno dei due procedimenti riconducibili alla materia penale; 
        c) le sanzioni irrogate dalla Consob per  la  fattispecie  di
manipolazione del  mercato  di  cui  all'art.  187-ter  TUF,  benche'
formalmente   qualificate   come   amministrative    dall'ordinamento
italiano,  debbono  essere  ricondotte  alla  "materia  penale"  agli
effetti dell'art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, e cio' in ragione
sia della "natura dell'illecito"  (ossia  della  rilevanza  dei  beni
protetti e della  funzione  anche  deterrente  della  fattispecie  in
questione) sia della natura e del grado di severita'  delle  sanzioni
(pecuniarie ed interdittive) previste  dalla  legge  e  concretamente
comminate ai ricorrenti. 
    Il giudice nazionale non puo' ignorare, nella controversia che e'
chiamato a decidere, l'interpretazione che delle norme pattizie viene
data dalla  Corte  di  Strasburgo,  con  la  conseguenza  che,  nella
realizzazione dell'equo processo  ed  allo  scopo  di  assicurare  la
parita' effettiva delle armi in senso sostanziale e processuale (art.
111,  1  comma,  Cost.),  il  giudice  interno,  affinche'   la   sua
statuizione risulti  aderente  alle  norme  della  Convenzione,  deve
tenere  conto  anche  dell'elaborazione  del  diritto  vivente  quale
proveniente proprio dalla Corte di Strasburgo, che della  Convenzione
e' il piu' autorevole interprete. 
    Vanno, per comodita' espositiva, individuate le  norme  rilevanti
nella fattispecie. 
    L' art. 185 TUF (Manipolazione del mercato),  prevede  che  venga
punito con la reclusione da uno a sei anni e con  la  multa  da  euro
ventimila a euro cinque milioni - «Chiunque diffonde notizie false  o
pone in essere operazioni simulate  o  altri  artifizi  concretamente
idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di  strumenti
finanziari». (prevedendo anche il raddoppio di dette  pene  ai  sensi
dall'art. 39, comma 1, della 1. n. 262/2005). 
    Sotto il profilo amministrativo la legge n. 62/2005 ha rafforzato
le competenze della  Consob,  cui  e'  stata  attribuita  un'autonoma
potesta' sanzionatoria in  via  amministrativa,  tra  l'altro,  delle
condotte di manipolazione del mercato. 
    L'art.  187-ter,  comma  1,  TUF  (Manipolazione  del   mercato),
prevede: «Salve le sanzioni penali quando il fatto costituisce reato,
e' punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro ventimila
a euro  cinque  milioni  chiunque,  tramite  mezzi  di  informazione,
compreso internet o ogni altro mezzo, diffonde informazioni,  voci  o
notizie false o fuorvianti che forniscano  o  siano  suscettibili  di
fornire indicazioni false ovvero fuorvianti in merito agli  strumenti
finanziari». 
    Il comma 3,  lett.  e),  dell'art.  187-ter  TUF,  fa  «salve  le
sanzioni penali quando il fatto costituisce reato», prevedendo che le
stesse sanzioni amministrative pecuniarie  si  applicano  a  chiunque
pone in essere «operazioni od ordini di compravendita che  utilizzano
artifizi od ogni altro tipo di inganno o di espediente». 
    Dall'esame comparato delle predette norme si  evince  il  sistema
del c.d. doppio binario tra il reato  di  manipolazione  del  mercato
(art. 185 TUF) e la analoga fattispecie amministrativa (art.  187-ter
TUF) essendo prevista, nei rispettivi giudizi, una  duplice  sanzione
penale ed amministrativa, in antitesi col  principio  espresso  dalla
sentenza CEDU "Grande  Stevens",  cit.,  che  ha,  invece,  affermato
l'opposto ed antitetico principio del "ne bis in idem". 
    Tale ultimo principio e' individuabile  in  fonti  di  produzione
normativa di livello internazionale e interunione,  oltre  ad  essere
affermato dalla  giurisprudenza  nazionale,  ma  solamente,  in  tale
ultimo caso, con riferimento a  sanzioni  di  carattere  strettamente
penale. 
    In sede di diritto internazionale pattizio, il principio del  "ne
bis in idem", e' sancito dall'art. 4 del Protocollo n. 7 della  CEDU,
rubricato «Diritto di non essere giudicato o punito  due  volte»,  il
quale, al comma 1, dispone che  «Nessuno  puo'  essere  perseguito  o
condannato penalmente dalla giurisdizione dello stesso Stato  per  un
reato per il quale e' gia' stato assolto o condannato  a  seguito  di
una sentenza definitiva conformemente alla legge  ed  alla  procedura
penale di tale Stato». 
    Il divieto del bis in idem, a livello  interunione,  e'  previsto
dall'art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea
(c.d. "Carta di Nizza"), intitolato «Diritto di non essere  giudicato
o punito due volte per lo stesso  reato»,  il  quale  stabilisce  che
«Nessuno puo' essere perseguito o condannato  per  un  reato  per  il
quale e' gia' stato assolto o condannato nell'Unione a seguito di una
sentenza penale definitiva conformemente alla legge». 
    La  medesima  garanzia  in  ambito  nazionale,  e'   riconosciuta
dall'art. 649 c.p.p., rubricato «Divieto di un secondo giudizio»,  il
quale prescrive che «L'imputato prosciolto o condannato con  sentenza
o decreto penale divenuti  irrevocabili  non  puo'  essere  di  nuovo
sottoposto a procedimento penale per il medesimo  fatto,  neppure  se
questo viene diversamente considerato per il titolo, per il  grado  o
per le circostanze, salvo quanto disposto dagli artt. 69, comma 2,  e
345». 
    Nel  caso  "Grande  Stevens"  appare  chiaro  l'orientamento  dei
giudici di Strasburgo, di rimproverare agli organi giurisdizionali la
mancata disapplicazione di un principio  (ne  bis  in  idem)  che  il
legislatore nazionale ha introdotto in  materia  penale  ma  non  nei
rapporti tra sanzione amministrativa  di  natura  penale  e  sanzione
penale. 
    Va rilevato che i medesimi comportamenti oggetto  della  sentenza
di patteggiamento sono in effetti puniti con una sanzione qualificata
come  «amministrativa»  dall'art.  187-ter  punto   1   del   decreto
legislativo n. 58 del 1998, in  aggiunta  alla  sanzione  penale.  La
mancata previsione dell'allargamento del principio "ne bis  in  idem"
anche ai rapporti tra processi e, specificamente, tra sanzione penate
e amministrativa di natura penale  appare  non  conforme  alle  norme
costituzionali, il che comporta che la questione di costituzionalita'
che con la presente ordinanza si solleva e' rilevante nel giudizio de
quo, giacche' non appare conforme ai principi sovranazionali  sanciti
dalla  CEDU  la  previsione  del  doppio  binario  e,  quindi   della
cumulabilita' tra sanzione  penale  e  amministrativa,  applicata  in
processi diversi,  qualora  quest'ultima  abbia  natura  di  sanzione
penale, ancorche' davanti alla Cedu la prospettazione riguardasse  la
sanzione  penale  conseguente  alla  sanzione  amministrativa  e  nel
presente giudizio si  tratti  di  sanzione  amministrativa  comminata
dalla Consob successiva a sanzione penale. 
    Va, anche rimessa alla Consulta, alla  luce  dei  principi  CEDU,
determinare il rilievo, ai fini della applicazione del principio  del
"ne bis in idem", della valutazione, da parte del giudice  nazionale,
della  effettiva  afflittivita'  della  sanzione  penale  che,  nella
specie, e' limitata, di fatto, alle sole pene accessorie (la pena  in
concreto inflitta -  tre  anni  -  e'  stata  dichiarata  interamente
condonata), senza che sia emersa prova, nel giudizio di merito, di un
effettivo  pregiudizio  nelle  sfera  personale  -  patrimoniale  del
Ricucci, non risultando comminata alcuna pena pecuniaria,  mentre  la
sanzione comminata dalla  Consob  e',  invece,  solamente  di  natura
pecuniaria (€ 5.000.000). 
    Trattasi di una valutazione di natura oggettiva che emerge  dalle
pronunce prodotte, che non  implica  alcuna  valutazione  di  merito,
eventualmente rimettibile al giudice del rinvio. 
    Al fine di offrire una panoramica  il  piu'  possibile  completa,
occorre  anche  verificare  se  la  obbligatorieta'  delle   sanzioni
amministrative  nel  sistema  degli  illeciti  di  market  abuse  sia
configgente col sistema  del  c.d.,  divieto  del  ne  bis  in  idem,
allorche' venga preliminarmente emessa  una  sanzione  penale  e  se,
eventualmente, quest'ultima, a prescindere dalla sua afflittivita'  e
proporzionalita', in relazione al fatto commesso, sia preclusiva alla
comminatoria della sanzione amministrativa, o se ne  debba  solamente
tenere conto al fine della  successiva  comminatoria  della  sanzione
amministrativa. 
    Tali riflessioni sono  indotte  dalla  direttiva  2003/6/CE  (ed.
Market Abuse Directive MAD) che in materia di abusi di mercato impone
agli Stati membri l'obbligo di  adottare  sanzioni  amministrative  -
«effective,  proportionate  and  dissuasive»  -  lasciando  loro   la
facolta' di prevedere  nel  contempo  anche  sanzioni  penali  -  cd.
"sistema a  doppio  binario"  -  in  forza  del  quale,  in  caso  di
convergenza dei medesimi fatti, l'illecito  penale  concorre  con  il
corrispondente illecito amministrativo, con conseguente cumulo  delle
rispettive sanzioni, in deroga al principio  di  specialita'  di  cui
all'art. 9 della legge n. 689 del 1981. 
    Il  sistema  del  doppio  binario  e'  anche  previsto  dall'art.
187-duodecies  del  TUF   (Rapporti   tra   procedimento   penale   e
procedimento amministrativo e di opposizione), prevedendosi  che  «il
procedimento amministrativo di  accertamento  e  il  procedimento  di
opposizione di cui all'art. 187-septies non  possono  essere  sospesi
per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i  medesimi
fatti o fatti dal cui accertamento dipende la relativa definizione». 
    L'art. 187-terdecies del TUF (Esecuzione delle pene pecuniarie  e
delle sanzioni pecuniarie nel processo penale prevede,  al  comma  1,
che «quando per lo stesso fatto e' stata applicata a carico del reo o
dell'ente una sanzione amministrativa pecuniaria ai  sensi  dell'art.
187-septies.... la esazione della pena pecuniaria  e  della  sanzione
pecuniaria dipendente da  reato  e'  limitata  alla  parte  eccedente
quella riscossa dall'Autorita' amministrativa». 
    Trattasi del principio del "ne bis in idem attenuato" a cui fa da
contraltare il principio del doppio binario attenuato che  potrebbero
trovare anche applicazione nella fattispecie in esame ove la Consulta
dovesse propendere per una pronuncia additiva. Potrebbe  cosi'  anche
trovare quantomeno parziale legittimita' costituzionale il regime del
c.d. "doppio binario", sia pure nei limiti che eventualmente la Corte
vorra' individuare con conseguente cumulo delle rispettive  sanzioni,
valutando la possibile applicazione del principio della  progressione
illecita tra le due fattispecie, penale e amministrativa. 
    Nella sentenza della Corte Europea dei  Diritti  dell'Uomo,  Sez.
II, del 4 mar 2014 (causa Grande Stevens  ed  altri  c.  Italia)  «la
Corte rammenta la  sua  consolidata  giurisprudenza  ai  sensi  della
quale, al fine di stabilire la sussistenza di una «accausa in materia
penale»,  occorre  tener  presente  tre  criteri:  la  qualificazione
giuridica della misura in causa  nel  diritto  nazionale,  la  natura
stessa di quest'ultima, e la natura e il  grado  di  severita'  della
«sanzione» (Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, § 82,  serie
A n. 22). "Questi criteri sono peraltro alternativi e non cumulativi:
affinche' si possa parlare di «accusa in  materia  penale»  ai  sensi
dell'art. 6 § 1, e' sufficiente che il reato in causa sia  di  natura
«penale» rispetto alla Convenzione, o abbia esposto  l'interessato  a
una sanzione che, per natura e livello di gravita', rientri in  linea
generale nell'ambito della «materia penale». Cio'  non  impedisce  di
adottare un  approccio  cumulativo  se  l'analisi  separata  di  ogni
criterio non permette di arrivare ad una conclusione chiara in merito
alla sussistenza di  una  «accusa  in  materia  penale»  (Jussila  c.
Finlandia [GC], n. 73053/01, §§ 30 e 31, CEDU 2006-XIII, e Zaicevs c.
Lettonia, n. 65022/01, § 31, CEDU 2007-IX (estratti)". 
    L'imputazione di cui al capo g) della sentenza di  patteggiamento
(artt. 81, 185 d.lgs. 24.2.1998 n. 58 e successive modifiche  prevede
l'accusa, nei confronti del Ricucci, quale Presidente  del  Consiglio
di Amministrazione della Magiste International s.a. e  quale  dominus
di fatto della Garlsson Real Estate s.a. di  "diffusione  di  notizie
false concretamente idonee a provocare una sensibile alterazione  del
prezzo del titolo RCS Mediagroup", mediante  condotte  specificamente
evidenziate che sono sostanzialmente le medesime  contestate  con  la
violazione amministrativa. 
    Sempre in relazione al capo g) contestato al Ricucci, la sentenza
penale prevede l'aumento per la  continuazione  determinato  in  mesi
quattro  di  reclusione,  mentre  la  pena  inflitta  e'   stata   di
complessivi anni 4 e mesi 6 di reclusione (di cui anni 4 per il reato
di corruzione, anni 2, mesi 6 per la continuazione), pena ridotta  ad
anni 3 per la scelta del rito e quindi, estinta  per  indulto  ex  l.
241/06. 
    Va anche considerato che sono state applicate al Ricucci le  pene
accessorie  della:  a)  interdizione  dagli  uffici  direttivi  delle
persone giuridiche e delle imprese per la  durata  di  anni  tre;  b)
incapacita' di contrattare con la P.A. per  anni  3,  salvo  che  per
ottenere la prestazione di  un  pubblico  servizio,  c)  interdizione
dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in  materia  tributaria
per anni 3; d) interdizione perpetua dall'ufficio  di  componente  di
commissione  tributaria;  e)  pubblicazione  della  sentenza  su  due
quotidiani di  rilevanza  nazionale;  f)  interdizione  dai  pubblici
uffici per anni 3. Va, tuttavia, rilevato che sia la condanna  penale
(con pena estinta per indulto), sia le sanzioni accessori sono  state
comminate in forza di reati in parte diversi da quelli oggetto  della
sanzione amministrativa (a cui corrisponde la  pena  inflitta,  quale
continuazione (art. 81 c.p.p.) di mesi 4). 
    In  concreto  la  sanzione  penale  non  risulta   essere   stata
oggettivamente afflittiva,  essendo  stata  interamente  condonata  a
seguito di indulto e non essendo emerso, nel giudizio di  merito  che
le pena accessorie abbiano avuto anch'esse  efficacia,  in  concreto,
oggettivamente afflittive, lei confronti del Ricucci. 
    Si chiede anche alla Consulta anche di verificare se il principio
del «ne bis  in  idem»  sancito  dalla  Convenzione  europea  per  la
salvaguardia dei  diritti  dell'uomo  (Cedu),  vieti  tout  court  di
sanzionare, in  diversi  processi,  due  volte  lo  stesso  illecito,
impedendo   allo   stato   membro   di   comminare   una   violazione
amministrativa di natura penale in presenza di  una  sanzione  penale
per gli stessi fatti,  o  viceversa,  e  quindi  se  sia  sufficiente
l'astratta comminatoria di una sanzione penale a rendere  illegittima
la  successiva  sanzione  amministrativa,  sempre  che  abbia  natura
penale,   oppure   se   debba,   comunque,   tenersi   conto,   nella
determinazione della sanzione amministrativa, della sanzione  penale,
in ossequio ai principi di effettivita' e proporzionalita'. 
    Le ragioni che  precedono,  riassumibili  nell'impossibilita'  da
parte di questa Corte, di disapplicare una  legge  dello  Stato,  pur
ritenuta in contrasto con la  C.E.D.U.  escludono  che  la  questione
possa essere risolta in via interpretativa,  con  l'adozione  di  una
lettura secundum constitutionem, anche facendo ricorso  a  tutti  gli
ordinari criteri ermeneutici, non essendo in grado  questa  Corte  di
applicare   la    legge    nazionale    conformemente    alla    CEDU
nell'interpretazione fornita  dalla  stessa  Corte  EDU.  I  principi
affermati dalla CEDU nella sentenza della Corte Europea  dei  Diritti
dell'Uomo, Sez. II, del 4 marzo 2014 (causa Grande Stevens  ed  altri
c. Italia) con riferimento  all'art.  187-ter  punto  1  del  decreto
legislativo n. 58 del 1998, appaiono in  contrasto  con  l'art.  117,
comma 1, Cost. Costituzione, e inducono a  rimettere  gli  atti  alla
Corte Costituzionale per un rinnovato esame della norma,  anche  alla
luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti  dell'uomo,
che, come sopra spiegato, non consente di supplire alla funzione  del
legislatore mediante  un  coordinamento  delle  fonti  nel  senso  di
affermare la prevalenza di quella convenzionale su quella interna. 
    Conclusivamente, va dichiarata  rilevante  e  non  manifestamente
infondata la questione  di  legittimita'  costituzionale  riguardante
l'art. 187-ter punto 1 del decreto legislativo n. 58 del  1998,  alla
luce della sentenza della Corte EDU del 4 marzo 2014, che ha ritenuto
che le sanzioni amministrative  previste  dalla  disciplina  italiana
sugli abusi di mercato siano da considerarsi "penali", a  prescindere
dalla loro qualificazione formale nel diritto interno, per  contrasto
con l'art. 117 Cost., primo comma, Cost., anche alla luce degli artt.
2 e 4 del Protocollo n.  7  della  Convenzione  europea  dei  diritti
dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali,  nella  parte  in   cui,
prevedendo la comminatoria congiunta della sanzione  penale  prevista
dall'art.  185  del  d.lgs.  n.  58  del  1998   e   della   sanzione
amministrativa prevista per l'illecito di cui all'art. 187-ter d.lgs.
cit., violando i vincoli derivanti dagli obblighi internazionali,  in
ragione della definitivita' della sentenza del Tribunale di  Roma  n.
24796/08 del 10.12.2008, passata in  giudicato  nei  confronti  delle
parti ricorrenti. 
    Ai  sensi  dell'art.  23  legge  11  marzo  1953  n.   87,   alla
dichiarazione di rilevanza nel giudizio e non manifesta  infondatezza
della questione di legittimita' costituzionale, segue la  sospensione
del giudizio,  e  l'immediata  trasmissione  degli  atti  alla  Corte
costituzionale.